L’infiammazione è un meccanismo di difesa che mette in atto il nostro corpo, in caso di infezioni e lesioni, con l’obiettivo di localizzare, eliminare l’agente nocivo, di rimuovere i componenti danneggiati del tessuto e di promuovere la guarigione. 

La risposta infiammatoria consiste in cambiamenti nel flusso sanguigno, aumento della permeabilità dei vasi e nella migrazione dei globuli bianchi dalla circolazione al sito di danno tissutale. Una risposta infiammatoria che dura solo pochi giorni è chiamata infiammazione acuta, mentre una risposta di durata più lunga viene definita infiammazione cronica. L’infiammazione acuta provoca sintomi, come mal di gola o il prurito per una puntura d’insetto, solitamente temporanei, che scompaiono quando la risposta infiammatoria è completata.

Le cause che possono indurre l’infiammazione sono rappresentate da: microrganismi, agenti o traumi fisici, sostanze chimiche, risposte immunologiche inadeguate e morte dei tessuti.

sintomi dell’infiammazione sono generalmente rossore, calore, dolore e gonfiore. Il rossore deriva dalla dilatazione dei piccoli vasi sanguigni nell’area della lesione. Il calore è causato dall’aumento del flusso sanguigno nella zona interessata e viene sperimentato solo nelle parti esterne del corpo (pelle). La febbre è dovuta ai mediatori chimici dell’infiammazione, il dolore invece dipende dalla distorsione dei tessuti per il gonfiore, ma anche da alcuni mediatori chimici dell’infiammazione. Il gonfiore, l’edema, è causato prevalentemente dall’accumulo di liquidi all’esterno dei vasi sanguigni. Un’altra manifestazione di infiammazione è la perdita di funzione dell’area infiammata, che può derivare dal dolore che inibisce la mobilità o da un gonfiore grave che impedisce il movimento nella zona colpita. 

I MEDIATORI DELL’INFIAMMAZIONE

La scoperta dei mediatori dell’infiammazione, ovvero le citochine e la possibilità di dosarle, ha permesso di individuare una presenza infiammatoria silente in molte gravi patologie.

Il termine citochina ha origine greca: “cito” che significa cellulare e “kinos” che significa movimento. Le citochine sono molecole di segnalazione cellulare che aiutano la comunicazione cellula-cellula nelle risposte immunitarie e stimolano il movimento delle cellule verso siti infiammazione, infezioni e traumi.

Le citochine si classificano in:

  • Citochine anti-infiammatorie: contrastano vari aspetti dell’infiammazione, per esempio l’attivazione delle cellule o la produzione di ciochine pro-infiammatorie, contribuendo così al controllo dell’entità delle risposte infiammatorie.
  • Citochine pro-infiammatorie: sono le citochine immunomodulanti che favoriscono l’infiammazione.

Con il termine meta-infiammazione si indica uno stato fisiopatologico legato casualmente allo sviluppo di infiammazione del tessuto adiposo e alla sindrome metabolica. Questa infiammazione, metabolicamente innescata, si osserva per esempio, nell’obesità indotta dalla dieta e si caratterizza per l’attivazione di macrofagi pro-infiammatori a scapito di macrofagi antinfiammatori che, invece, possono proteggere gli adipociti dall’infiammazione in soggetti magri.

DIETA, MICROBIOTA E METABOLOMICA

Il sistema immunitario innato e le citochine giocano un ruolo cruciale nell’infiammazione metabolica che è stata osservata nell’obesità morbida e nel diabete di tipo 2. 

L’obesità morbida o patologica è normalmente associata all’infiammazione del tessuto adiposo ed è caratterizzata dall’aumentata espressione di diverse citochine pro-infiammatorie. Anche l’insulino-resistenza indotta dall’obesità è associata a un’infiammazione cronica, cosiddetta di basso grado, del tessuto adiposo. 

La sindrome metabolica è una combinazione di disturbi che aumentano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete.

I fattori che contribuiscono alla sindrome sono l’aumento dei trigliceridi nel sangue, la diminuzione del colesterolo HDL nel sangue, l’aumento della pressione sanguigna, l’aumento della glicemia a digiuno e l’obesità centrale. La sindrome metabolica è caratterizzata da un’infiammazione sistemica di basso grado. 

I lipopolisaccaridi (LPS) che sono componenti della membrana esterna dei batteri (gram-negativi) del Microbiota intestinale possono essere il fattore scatenante dell’infiammazione di basso grado. Quindi i probiotici risultano un ottimo mezzo per migliorare l’integrità della barriera intestinale e ridurre il numero dei batteri potenziali patogeni nell’intestino.

Intestino e fegato godono di un collegamento molto stretto e una corretta funzionalità dei due organi dipende sia dall’integrità intestinale sia dall’equilibrio metabolico dei fattori esogeni, endogeni ed immunologici del fegato. La mucosa intestinale funziona come barriera di difesa locale che aiuta a prevenire l’invasione e la diffusione sistemica dei batteri e di endotossine, per lo più LPS dalle pareti cellulari dei batteri gram negativi. Qualora si creino condizioni di squilibrio, la funzione di barriera intestinale può essere compromessa, consentendo ai batteri e alle endotossine del tratto gastrointestinale di raggiungere organi e tessuti sistemici, un percorso questo indicato con il termine di traslocazione batterica.

In condizioni normali, l’endotossiemia di basso grado originante dall’intestino viene rapidamente eliminata dalle cellule del sistema reticoloentoteliale del fegato. Attraverso il flusso sanguigno portale i batteri intestinali e i prodotti batterici, come LPS, possono raggiungere il fegato, le cellule parenchimali (epatociti) e le cellule non parenchimali dando il via all’infiammazione sistemica.

Una funzione compromessa della barriera intestinale potrebbe essere un cofattore nella progressione del danno epatico cronico. Prove recenti mostrano che il cambiamento del microbioma precede e segue l’infiammazione.

La dieta influenza direttamente la flora microbica dell’intestino. Ciò che mangiamo provoca anche secrezioni ormonali che modellano la risposta del corpo all’infiammazione e influenzano la funzione del sistema immunitario.

Il consumo di alimenti trasformati, l’aumento del consumo di zucchero e l’assunzione non controllata di alcol, provocano danni diretti alla parete intestinale, aumentano la popolazione di microrganismi patogeni e riducono la popolazione di microbi benefici. 

“L’uomo è ciò che mangia”. Questo celebre aforisma del filofoso tedesco Ludwig Feuerbach ben si adatta a uno dei filoni di ricerca più promettenti della biochimica contemporanea, la metabolomica, ossia lo studio dei metaboliti, i prodotti finali (o intermedi) dei processi metabolici.

I metaboliti sono prodotti o utilizzati dall’organismo quando scompone cibo, farmaci, sostanze chimiche o i suoi stessi tessuti e si possono rintracciare in campioni di sangue o di feci, attraverso diverse tecniche di analisi. 

La metabolomica fotografa le impronte chimiche lasciate da specifici processi cellulari e ci fornisce così una base oggettiva per capire come gli alimenti, i nutrienti e altri fattori ambientali influiscano sul nostro stato di salute e sullo sviluppo di patologie acute e croniche.

Pieter Dorrestein, direttore della Collaborative Mass Spectrometry Innovation Center presso la Skaggs School of Pharmacy and Pharmaceutical Sciences  dell’Università della California (UC) a San Diego asserisce:

Possiamo utilizzare questo approccio per ottenere informazioni su come si alimenta una persona in modo oggettivo e comprendere meglio le relazioni con il suo quadro clinico. Ora è possibile collegare agli effetti sulla salute le molecole che sono prodotte dall’alimentazione non una alla volta, ma tutte insieme.”

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