L’AHA, American Heart Association, dopo aver negato per anni che i valori di calcio a livello coronarico potessero essere un valido indicatore per valutare il rischio di malattie cardiache, ha ritrattato.
La quantità di calcio coronarico, affermano numerosi studiosi come il Dr. Datch, il cardiologo Budoff, o il Dr. Detrano, è uno strumento quantitativo preciso per la misurazione e il monitoraggio del rischio di attacco cardiaco ed è risultato essere più valido ed accurato dei marcatori usati tradizionalmente per la predizione di tali patologie, come ad esempio il colesterolo totale.
Malattia coronarica: di che cosa si tratta in questo caso?
Se in gioventù la formazione di placche, all’interno di vasi sanguigni, è minima, col passare degli anni aumenta e per il 20 % del suo volume, la placca contiene calcio. Nel tempo queste placche vanno ad ostruire le arterie ostacolando il normale flusso sanguigno e aumentando il rischio cardiovascolare.
Come se non bastasse a volte la rottura di tali placche, espone il sangue a detriti infiammatori che causano rapidamente la formazione di coaguli (trombosi), ciò comporta un ulteriore rischio di infarto.
Come si formano queste placche?
La calcificazione dei tessuti molli, come il tessuto connettivo, i legamenti, i muscoli, le arterie, è un processo ricorrente per molte malattie, può essere visto come risposta infiammatoria che attua l’organismo, per permettere la guarigione e avviene ogni volta che una cellula o un tessuto va incontro a morte cellulare (necrosi).
Studi patologici hanno mostrato che la calcificazione e la conseguente formazione di placche a livello coronarico aumentano con l’avanzare dell’età. Queste si sviluppano soprattutto in quei punti dove le arterie sono esposte a forte stress meccanico: ossia all’altezza delle varie biforcazioni tra due vasi (un esempio potrebbe essere la biforcazione carotidea, oppure quella presente a livello femorale).
I livelli di calcio coronarico
Monitorare questo valore permette di relazionarlo al volume totale della placca formatasi, di vedere come essa varia per dimensione nel tempo, se diminuisce in seguito a cambiamenti nello stile di vita.
La valutazione del calcio coronarico potrebbe essere quindi un indicatore più preciso dell’angiografia, per il controllo della placca.
Quali cambiamenti bisogna attuare?
Bisogna cercare di abbassare i livelli di LDL (a valori pari a 60mg/dL) e di trigliceridi, aumentare in opposizione i valori di colesterolo “buono”, l’HDL.
Cercare di raggiungere e mantenere livelli medi e costanti, di pressione sanguigna, per evitare che grossi sbalzi comportino la rottura delle placche presenti all’interno dei vasi.
Evitare valori troppo alti di zucchero nel sangue, in quanto il diabete presenta una forte correlazione con l’incidenza di malattie cardiovascolari.
Ridurre i valori della proteina C reattiva, importante indicatore di infiammazione.
Quanto sono importanti alimentazione ed integrazione?
Partendo dallo stile di vita:
– E’ fondamentale seguire una dieta a basso indice glicemico, che sia priva di cibi raffinati ed industrialmente lavorati, di amido o sciroppo di mais, di fruttosio, e di grano tenero. Meglio consumare alimenti naturali e cereali integrali.
– Un maggior apporto di fibre (ad esempio i semi di lino) facilita la motilità intestinale e aiuta a gestire al meglio la glicemia.
– Inoltre sono importanti le mandorle, le noci pacan, le nocciole e il resto della frutta secca, in quanto sono un’ottima fonte di grassi buoni e apportano un grosso beneficio al profilo delle lipoproteine.
– Bisogna aumentare il consumo di proteine, esse infatti sono la principale fonte per ricostruire e riparare tutti i nostri tessuti cellulari.
– Nutrirsi di alimenti ricchi in antiossidanti, come resveratrolo, bioflavonoidi, etc., sostengono il sistema antiossidante a contrastare l’azione dei radicali liberi e hanno notevoli proprietà antinfiamamtorie.
– Fare esercizio fisico e perdere il peso in eccesso migliorano la sensibilità del corpo all’insulina.
Focalizzando l’attenzione sui micronutrienti:
1) La vitamina D: è indispensabile avere valori di tale vitamina al di sopra dei 50ng/ml. E’ stato dimostrato infatti che bassi valori di vitamina D sono associati all’aumento della calcificazione delle arterie e quindi anche all’aumento dell’incidenza di patologie cardiovascolari.
2) In combinazione a tale micronutriente, non va dimenticata la vitamina K2, un cofattore prezioso per agevolare la sua assimilazione.
3) Il magnesio è un altro cofattore della vitamina D, inoltre una sua carenza spesso è comune nei casi di ipertensione ed è anch’essa associata al rischio di malattie cardiache. Esso è in grado di abbassare la pressione sanguigna e di rilassare la muscolatura liscia arteriosa. È un elemento necessario per la funzione endoteliale.
4) Gli omega 3, presenti anche nell’olio di pesce, si rivelano importanti nel contrastare le infiammazioni.
5) Vitamina B3, o niacina.
6) Non meno importante è la vitamina C. Essa gioca un ruolo da protagonista infatti, in quanto è essenziale per la formazione del collagene e di conseguenza per rinforzare le pareti delle arterie. Gli aminoacidi Lisina e Prolina favoriscono l’assimilazione di questa vitamina idrosolubile, anche una loro integrazione quindi risulta importante.
7) In ultimo, non per ordine d’importanza, ricordiamo il ruolo dell’arginina. Nello specifico la L-arginina viene convertita in ossido nitrico, elemento prezioso per la salute arteriosa. Una ricerca di Furchgott e altri studiosi ha mostrato che quest’ultimo permette il rilassamento della muscolatura liscia dei vasi, permettendo la dilatazione delle arterie coronarie fino anche al 50%. E’ stato visto che una mancanza di ossido nitrico comporta il restringimento delle arterie, danni del loro rivestimento e l’accelerazione nella crescita delle placche che vanno ad ostruire i vasi.
Cura ut valeas!
Dott.ssa Carolina Capriolo
Biologa Nutrizionista
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Fonti:
http://jeffreydachmd.com/how-to-reverse-heart-disease-with-the-coronary-calcium-score/